Il sostegno dei muretti a secco, infatti, rende possibili i terrazzamenti dove mettere a dimora le viti. Composti da oltre 2500 km di pietre, i terrazzamenti del versante retico della Valle sono un vero e proprio patrimonio culturale, iscritti nel Registro dei Paesaggi Storici Rurali.
Un paesaggio che sottolinea l’integrazione armoniosa tra ambiente originario e intervento dell’uomo sin dai tempi più antichi.
L’origine della viticultura in Valtellina è, infatti, attribuita ai popoli Liguri ed Etruschi, anche se bisogna attendere il Medioevo (X-XII sec.) per veder crescere la produzione e la fama dei vini locali. Una fama che cresce nel tempo, tanto da meritare una citazione nel Codice Atlantico di Leonardo da Vinci: «Voltolina, com’è detto, Valle circundata d’alti e terribili monti, fa vini assai potenti».
Maroggia, Sassella, Grumello, Inferno, Valgella sono le zone vocate alla produzione di vini di eccellenza, fino alla frazione di Baruffini, nel tiranese, dove si estendono gli ultimi vigneti a est della Valle.
La vite è coltivata solitamente tra i 300 e i 900 metri di altitudine, ma il riscaldamento globale sta gradualmente innalzando i parametri delle quote più basse. Da sempre, infatti, il microclima della Valtellina conferisce all’ambiente alpino sfumature dai toni mediterranei, con benefici importanti per le uve. Non è del resto raro trovare lungo i terrazzamenti fichi d’India, agavi, cespugli e arbu-sti tipici della macchia mediterranee.
L’esposizione dei vigneti a sud e gli influssi del lago di Como concorrono a rendere il clima mite, mentre la presenza del vento in Valle (la Breva) elimina il rischio di eccessiva umidità.
Il terreno prevalentemente sabbioso contribuisce, invece, al drenaggio del sottosuolo.
Il Rosso di Valtellina DOC, il Valtellina Superiore DOCG e lo Sforzato di Valtellina DOCG sono vini caratterizzati da una sorprendente eleganza che ben esprimono le caratteristiche del vitigno e del territorio. Non è un caso, infatti, che le sensazioni gusto-olfattive si amplifichino nell’abbinamento con i piatti della tradizione locale: pizzoccheri, sciatt, formaggi come il Valtellina Casera Dop o il Bitto Dop.
Lo Sforzato, in particolare, è figlio di quel vento che mitiga il clima della valle. Nasce da uve poste in appassimento: la loro esposizione al vento crea una concentrazione di aromi e zuccheri che modifica i profumi di ciliegia e amarena in sentori di prugna e di mora.
In Valtellina il Nebbiolo è noto anche come chiavennasca. Il nome deriva dall’espressione dialettale ciuvinasca, ovvero più vinosa, ad indicare la bontà e il vigore di un vitigno che in queste terre ha trovato il suo habitat ideale.
Oltre al Nebbiolo si coltivano, però, anche altre uve autoctone, tra cui la Brugnola, la Rossola, la Pignola, la Merlina, e uve bianche dal carattere internazionale come il Sauvignon blanc o lo Chardonnay.
La biodiversità è la metrica con cui ogni giorno, con passione e responsabilità, i viticoltori lavorano in Valtellina. Oltre ad una progressiva limitazione dei trattamenti chimici, sono molti, infatti, gli accorgimenti adottati legati alla tradizione. Come i muretti a secco, che favoriscono la crescita di muschi, licheni e della flora locale, o l’inerbimento, che lascia l’erba libera di crescere tra i filari, arricchendo il suolo di organismi viventi diversi e integrati. O come gli animali al pascolo che concimano naturalmente il terreno.
La viticoltura in quota della Valtellina si fonda, dunque, su un ecosistema delicato e un sapere antico. Un’esperienza da vivere con tutti sensi, poeticamente raccontata dal regista Ermanno Olmi nel suo evocativo documentario “Rupi del vino”.
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